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A proposito della Mostra fotografica sulle lotte nonviolente a Comiso

Riportiamo le considerazioni e le valutazioni fatte ad un Convegno del 1985 da Tonino Drago, un prezioso amico della nonviolenza e acuto testimone di quei momenti di lotta.

Foto di Bruno Stefani

LA LOTTA DI COMISO

Antonino Drago
Convegno sulla Difesa Popolare Nonviolenta - DPN
Bergamo 31-3-1985

1. Innanzitutto dobbiamo vedere come si inquadrano le lotte delle migliaia di persone a Comiso.
Esse si inquadrano in un’Italia dove tutta la vita politica si restringe alle battaglie parlamentari e a tribune politiche della TV; e dove il rapporto diretto dei partiti con la popolazione è quasi annullato. Non mi riferisco tanto alle sezioni della D.C. che praticamente esistono solo sulla carta, e nemmeno alle sezioni del P.C.I., che certamente trovano motivo di vita soprattutto nella fedeltà dei vecchi compagni.
Mi riferisco al fatto politico che sempre più si sta evidenziando: la incapacità del sindacato attuale a mantenere il programma di lotte che si è assunto il 19 novembre del 1969, quando per la prima volta chiamò allo sciopero generale su un problema (la casa) che non era della fabbrica, ma era un problema sociale. Allora il sindacato rese superflua la presenza, nelle lotte sociali, dei partiti di opposizione (in particolare del P.C.I., che da allora si restrinse all’impegno parlamentare, in vista del compromesso storico) e si diramò in tutti i settori della vita e della lotta sociale. Le lotte per la casa, per la scuola, per la sanità, per i trasporti, per la burocrazia, per il tempo libero ecc., furono tutte assunte dal sindacato; ciò in vista di riforme che il parlamento doveva realizzare per preparare il compromesso storico. Da allora il sindacato assunse qualsiasi lotta sociale, la canalizzava secondo la relativa riforma sociale da attuare, ne dava lo sbocco vertenziale, presiedeva all’accordo nazionale che ne sanciva i risultati.
Questo cambiamento della situazione politica nazionale ha portato a molta più “partecipazione” della gente? Può darsi. Certo però che in ogni settore le riforme non sono risultate soddisfacenti; quindi il risultato generale non può che essere deludente. Inoltre ai “sindacato forte” del ‘69 oggi è seguito il “sindacato debole”, costretto ad un gioco di pura difensiva dalla crisi economica, dalla aggressività del padronato che è spalleggiato da quasi tutto il quadro politico nazionale, dal moderatismo dei lavoratori delle grandi fabbriche.
E così che già il sindacato ha retto molto male una lotta sociale di grande importanza politica, quella sulla energia, diventata in Italia la lotta solo contro le centrali nucleari. Anche se il sindacato è riuscito a separare e contrapporre rigorosamente i lavoratori (del nucleare) dai contadini di Montalto di Castro e da tutti gli strati sociali che li appoggiavano, però si è solo difeso e non ha saputo argomentare la sua posizione, rimasta sempre ambigua e verticistica.
Ma soprattutto il sindacato non sta reggendo le lotte per la pace. Questo tema è tale che dovrebbe far risuscitare le gloriose prese di posizione dei primi anni del secolo (“Né un uomo, né un soldo per l’esercito”; “Alla guerra rispondiamo con lo sciopero generale”) o del dopoguerra (chi non ricorda gli scioperi generali contro i generali statunitensi in visita in Italia?). Ma già la crescita degli obbiettori di coscienza in Italia era stata maltollerata dal sindacato che anche oggi, quando questi svolgono i1 servizio civile, o non li accoglie o li confina in ruoli subordinati e spoliticizzati; comunque li tratta come il Ministero della Difesa, individualmente, E, dall’altro lato, la crescita delle fabbriche d’armi ha creato un’omertà sindacale che è stata rotta solo dall‘impegno testardo di un suo dirigente nazionale (Alberto Tridente della FIM-CISL), senza che comunque gli sia stato possibile lanciare una iniziativa di qualsiasi tipo.
E’ chiaro che quando nel 1981 in Italia è sorto un movimento per la pace, forte di centinaia di migliaia di dimostranti, il sindacato ha avuto un grande dilemma da risolvere: tentare di incanalarlo nelle direzioni fondamentali date dal dibattito parlamentare, rischiando però di subire una prima clamorosa sconfitta nelle lotte sociali? Oppure trattarlo da movimento puramente utopistico e spontaneistico, così come aveva fatto con il movimento contro l’energia nucleare?
A Firenze, il 22 novembre 1981 il sindacato ci ha provato ad indire una sua manifestazione per la pace. Ma il movimento per la pace non si è lasciato condurre per mano; è rimasto separato, sia nel corteo che negli slogans. Per fortuna ( ! ) del sindacato, appena venti giorni dopo, la Polonia subiva il colpo di stato (di Jaruszelsky), con il tacito accordo dell’Occidente e del PCI (’il male minore’ rispetto all’invasione russa e/o ad una conflittualità USA-URSS causata da Solidarnosc), Veniva riaffermata la divisione di Yalta come insuperabile. Il Movimento per la pace, che aveva contato sulla sicura decadenza storica di questa divisione, subiva un contraccolpo, arretrava per contarsi di nuovo e per recuperare forze e obiettivi. Poi è venuta la lotta di Comiso (l983).
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2. Quando si parla di Comiso, bisogna premettere questo primo punto; che risulta evidente, pur di considerare come era il sindacato prima e come è oggi. In altri termini, Comiso ha eliminato dalla scena politica italiana l’equivoco del ’69: che il sindacato potesse gestire tutte le lotte sociali. Questo era stato l’equivoco con il quale tutte lotte di base degli anni ‘60 erano state riassorbite secondo un disegno politico che per alcuni era la trasformazione dello stato borghese, ma che per altri era la restaurazione dell’ordine sociale sconvolto; e sempre l’ebbero vinta questi ultimi, a partire dall’assorbimento della lotta dell’autoriduzione delle bollette Enel.
Certamente i problemi economici hanno indebolito fortemente il sindacato, ma è stata proprio la lotta per la pace a misurare e dimostrare platealmente la debolezza e la incapacità di questo tipo di sindacato a gestire un progetto di vera trasformazione sociale. Oggi le nuove iniziative politiche dal basso trovano di movimento il terreno sgombro; non a caso i Verdi italiani, pur così poco preparati, si sono subito fatti valere.
A questo risultato politico è da aggiungere un altro, ottenuto già sul nascere del Movimento per la Pace: la sconfitta in Italia della ideologia della lotta rivoluzionaria armata. Infatti, fu proprio Savasta (pentito BR) a rivelare che le BR avevano puntato a conquistare la guida del primo movimento di massa che si era creato in Italia dal 1975, il Movimento per la pace. Ma quando il loro sequestro del gen. USA Dozier non raccolse i consensi sperati, le BR capirono che avevano fallito politicamente; e allora iniziò la fuoriuscita dalle BR.
Basterebbero questi due risultati politici per giustificare ampiamente lo sforzo del Movimento per la pace a favore di una nuova società: ha ottenuto una società liberata dal terrorismo politico e una società aperta a nuove iniziative politiche dal basso al passo con la storia. Forse li ha ottenuti indirettamente; ma li ha ottenuti da solo, senza altri.
Queste considerazioni non vogliono evitare l’analisi specifica su Comiso; la volevano solamente porre nel giusto contesto politico, in modo da poter capire che significato hanno avuto gli sforzi e i sacrifici di un numero di persone, che, se viste in assoluto, poco potevano fare.

3. Allora Comiso. Da quanto detto prima, la lotta a Comiso aveva delle eccezionali valenze politiche. Era una lotta di rilevanza nazionale, anche se avveniva in un paesino piccolo e lontano; e, proprio per la piccolezza del teatro d’azione, ogni azione veniva percepita subito dai presenti a Comiso e diventava subito il segnale di una tendenza globale; cioè la risonanza era enorme e così la lotta per avere questa risonanza.
A questo ci si aggiunga tutto ciò che è noto sul piano internazionale: l’imposizione dei missili Cruises agli alleati degli USA per rinsaldare un patto NATO ormai debole e insicuro per gli USA, la collocazione dei missili non alla frontiera Est, ma sul lato Sud dell’Europa, in funzione anti-Mediterranea e anti-africana, il passaggio definitivo del nostro esercito ad esercito d’attacco in funzione di una simile politica estera USA.
E mentre i cattolici hanno subito il freno del Papa (che ha tentato di bloccare il documento dei Vescovi statunitensi che condannava il possesso delle armi nucleari) e pochi di loro acquisivano una nuova coscienza e davano nuovo spirito alle lotte; i canali istituzionali della vita politica, i partiti, si dividevano in differenti politiche che, trasmesse alla base, significavano divisioni profonde. Per prima è da considerare la politica del PSI, che ha tradito l’antimilitarismo dell’inizio del secolo, l’opposizione alla NATO negli anni ‘60 e anche la politica cauta degli anni ‘70, per passare sfacciatamente, da primo della classe, a sostenere la “fedeltà atlantica”.
Poi è da considerare la politica del PCI, che aveva grosse difficoltà, proprio per il cedimento del sindacato nelle lotte sociali. La sua impostazione ideologica (pro URSS) non gli permetteva di proporre nulla di più che una-due manifestazioni nazionali l’anno; manifestazioni di una giornata, e il giorno successivo tutto riprendeva come prima (o peggio; il giorno dopo il 4 marzo 1981, quello della grande marcia nazionale Milano-Comiso, iniziavano i lavori alla base). Infatti il PCI e la sinistra in genere trattano la pace e il militarismo come problema puramente sovrastrutturale (benché oggi si sappia bene ci dipende la sopravvivenza immediata dell’intera umanità; cioè, un problema che discende dalla economia e lì deve essere risolta con la rivoluzione socialista. Ma intanto la rivoluzione non sta arrivando e le lotte per la pace non danno vantaggi economici di nessun tipo agli operai; quindi non c’è una base economica sulla quale fare leva. Resta solo la possibilità di una motivazione pacifista generica, da gestire su obiettivi lontani quanto lo è Ginevra. Resta inoltre l’azione di cattura del Movimento per la pace, in modo da non farsi scacciare dalla protesta popolare In questo scopo c’è riuscito, perché quello che pure era il più grosso movimento di lotta sociale, non è arrivato a darsi una leadership chiara (separata dal PCI); gli è stato imposto di includere tutte le componenti politiche e di non rompere con il sindacato decadente. Perciò in questo movimento sono nati degli organi centrali praticamente fantasma, i quali però lancìavano comunicati nazionali (anche contrastanti tra loro) e riuscivano a convocare asseniblee o manifestazioni nazionali. Tutto ciò era funzionale alla politica del PCI, che aveva già accettato la Nato e tutti i suoi obblighi, salvo le modalità di attuazione del dispiegamento dei missili, sulle quali ha chiesto di… discutere. Quindi con le masse, ma contro gli interessi reali delle masse.
Poi consideriamo la politica del Partito Radicale. Questo è un piccolo partito e dentro i movimenti di massa scomparirebbe; perciò ha cercato prima di prendere la leadership; non c’è riuscito e allora se ne è tirato fuori, puntando il dito sulle contraddizioni e le mobilitazioni generiche che riusciva a fare il PCI, pretestuosamente confuso con tutto il Movimento per la pace. Quindi No alla lotta a Comiso, perché dì basi Nato ce ne sono già tante in Italia; no ai Comitati per la pace, che sono solo massa di manovra. Sì invece alle azioni spettacolari, quelle eseguibili da pochi, per far divergere l’attenzione dei mass media sul problema della fame nel mondo in contrapposizione a quello della guerra nucleare. Gli stessi nonviolenti venivano ignorati dal PR, perché non si separavano dai Comitati della Pace e da Comiso.
La politica di Democrazia Proletaria è stata quella della sinistra in genere, ma più aperta alla novità del momento storico, del tema politico e dei metodi nonviolenti.
4. Già, e i nonviolenti? In Italia i nonviolenti fino all’80 sono sempre stati un movimento che non ha saputo costruire una politica nazionale per rispondere alle sue responsabilità oggettive. Nemmeno nel loro terreno privilegiato, il servizio civile degli obiettori, hanno saputo imporre una loro politica, benché il Ministero della Difesa abbia lasciato ampio spazio. Per i movimenti nonviolenti e per molte persone nonviolente il passaggio dal soggettivo all’oggettivo ( e al collettivo) era ancora da fare.
Come conseguenza di questa infanzia politica, ma anche della lontananza di Comiso e della scarsità numerica dei nonviolenti, a Comiso i nonviolenti sono stati incapaci di essere presenti in maniera organizzata. Questa è stata la prirna sconfitta dei nonviolenti: una sconfitta prima ancora di combattere. Con il che il gruppo che, essendo il tradizionale portatore della novità storica della politica di pace, poteva dare un suo contributo (fors’anche decisivo) ad una chiara direzione del Movimento per la pace non lo ha fatto.
Che non ci sia stata una presenza organizzata lo si è visto sin dal primo sforzo organizzativo, la marcia Catania-Comiso, che pure è stato il più grosso successo dei nonviolenti in Sicilia. Già la concorrenza della marcia PCI Milano-Comiso l’ha occultata sulla stampa nazionale; ma poi la disorganizzazione interna e la poca chiarezza di obiettivi e di disciplina hanno reso la Catania-Comiso una marcia solo “diversa”.
Poi, l’altro serio tentativo di riorganizzarsi è stato quello di fondare l’IPC ( International Peace Camp), con persone, metodi, obiettivi nonviolenti. Ma (curioso!) dopo appena due mesi sono usciti comunicati sull’autonomia dell’IPC, sull’invito ai movimenti nonviolenti a non prevaricare (!), sulla teoria di Comiso come l’ombelico del mondo nonviolento e pacifista. Impreparazione politica; personalismi, spontaneismo hanno fatto il resto; cioè hanno reso l’IPO quanto meno imprevedibile e quindi poco valido per reggere delle lotte dure per la pace.
E’ triste doverlo confessare, ma la presenza nonviolenta a Comiso e in Sicilia è stata molto più chiara e durevole con qualche religioso, per primo Morishita e poi qualche altro, che poco hanno fatto, ma lo hanno fatto seriamente e dando un grande esempio; essi per lo meno hanno proposto la base della nonviolenza: una testimonianza di fede contro la morte nucleare collettiva.

5. Ma, nonostante tutto, dal gennaio 1983 si è visto che i gruppi di base delle varie città continuavano a lavorare e stavano rendendo solide le loro strutture locali. D’altra parte le elezioni nazionali assorbivano tutta la attività dei partiti nella vita politica istituzionale, rendendo così inopportuna una iniziativa nazionale sulla pace.
E’ l’ipotesi più probabile che la assenza dei partiti dalle attività per la pace, più che un impegno straordinario della gente abbia portato ad quella. aggregazione significativa che è stato l’IMAC (campo internazionale contro i missili).
Gran parte del danaro che gli obiettori fiscali hanno distolto al bilancio della difesa armata è stato impiegato per l’acquisto di un terreno a Comiso (in modo da impedire o ritardare le espropriazioni previste dal governo). Ciò ha incentivato l’acquisto di vari terreni attorno all’aeroporto, compreso quello dell’IMAC, che sta per essere acquistato dal Campo Internazionale per la Pace e dal CUDIP (ma ancora mancano 30 milioni!).
Già a luglio il campo aveva raccolto centinaia di persone, per realizzare settimane naturiste, feste e manifestazioni. Gli anarchici si sono aggiunti alle manifestazioni del 21 e 22, ma senza accettare i metodi nonviolenti. Una carica della polizia ha fatto parecchi feriti, compreso un handicappato, che è stato ferito alla faccia.
Ma era previsto il 6-8 agosto come momento cruciale: tre giorni di blocco totale dell’aeroporto (i blocchi precedenti erano stati simbolici, in quanto mentre il cancello principale restava chiuso, i camions e i lavoratori entravano dai cancelli laterali).
In un’Italia dove la vita politica è concentrata tutta in azioni verticistiche, quello che stava per accadere a Comiso era molto significativo: era una azione concreta, rappresentativa di uan volontà politica nazionale, al di là di sondaggi di opinione e di delle stesse elezioni. Le quali ultime giustappunto hanno dato luogo ad un risultato a sorpresa, che può essere interpretato chiaramente come una spaccatura orizzontale tra la volontà popolare e la vita corrente e gli obiettivi dei partiti (non solo per l’alto numero delle astensioni, ma anche per la disgregazione della tradizionale distribuzione dell’elettorato tra i vari partiti).
A Comiso la nascita dell’IMAC è stata significativo sia perché ha segnato finalmente il ricongiungimento dell’IPC col CUDIP (organismo anti missili fondato dall’ex-sindaco comunista Cagnes), al di là di personalismi che prima li avevano separati e anche dopo hanno reso difficile la loro collaborazione, e al di là delle differenze di impostazione dell’azione per la pace: il primo organismo legato ad azioni spettacolari da dare in pasto ai giornalisti; il secondo teso ad ottenere il consenso popolare (a Comiso e ai forestieri) su un tema relativamente nuovo per la sinistra e per il PCI; in particolare, il consenso e la partecipazione alla lotta per la pace come azione diretta non-violenta. Perché per il CUDIP (che pure già in precedenza aveva promosso dei digiuni) l’IMAC ha segnato proprio questo passo in avanti decisivo: l’accettazione di un metodo di lotta strettamente nonviolento e non solo per tattica ma anche per fiducia che quella doveva essere la strada da percorrere da parte di chi ha una grande forza morale e sociale da giocare contro chi ha uno strapotere enorme, sia militare che poliziesco che partitico.

6. Però lo svolgimento dell’IMAC ha riproposto tutti i limiti di fondo dei gruppi aderenti. Salvo il servizio di reggere materialmente l’IMAC, assicurato in gran parte dai padovani del Comitato della Pace (filo CUDIP e PCI), la politica dell’ IMAC ha riproposto tutte le spaccature esistenti tra i partiti e i gruppi che vi hanno partecipato. La prima spaccatura era quella con l’Autonomia, che dichiarava di essere venuta a sperimentare per la prima volta (tatticamente?) la nonviolenza. Poi DP e PCI, che, sperimentando tecniche nuove, cercavano di mantenersi ben saldi nella loro gestione di almeno i loro gruppi. D’altra parte il PR, non presente ufficialmente, di fatto era presente con una linea politica IPC, che veniva rafforzata dai personaggi nazionali (Rutelli, Pietrosanti, ecc.) appena appariva necessario ( vedi l’arresto e imprigionamento di Navarra per essere entrato nella base i primi di agosto). Di fatto, la divisione tra IPC e CUDIP si riproponeva in ogni occasione importante.
E i nonviolenti? Si facevano anche delle riunioni chiamando a raccolta ”i nonviolenti e gli antimilitaristi”; ma già questa doppia dizione lasciava la porta aperta a un mescolamento di persone e personaggi tale che poi, per giungere ad una sintesi di linea politica comune, richiedeva la presenza di una forte personalità che seguisse continuativamente la lotta. E invece è mancata proprio questa continuità di presenza a Comiso di un nonviolento di polso che stesse a Gomiso per mesi interi. Perciò “nonviolento” all’IMAC ha significato soprattutto “buona volontà e speranza”; raramente qualcuno ha dato un significato collettivo precisamente nonviolento ai momenti importanti vissuti collettivamente.
C’è da aggiungere la seconda sconfitta cruciale della lotta di Coiniso: la spaccatura con la popolazione. L’unico organismo veramente locale era il CUDIP; che però è stato sottoposto ad una sfilza di sospetti e di accuse da parte dei comprimari della lotta (tutti formati da forestieri); in effetti l’accentramento del CUDIP prestava il fianco alle critiche. Ma nessuno poi si è preoccupato di dare un nuovo rapporto e una nuova immagine della lotta per la pace alla popolazione di Comiso. A causa di ciò la lotta a Comiso non ha mai potuto diventare un fatto prima culturale e poi popolare. La cosa è stata tanto grave che anche le relazioni con i comitati per la pace di altri luoghi della Sicilia sono state molto difficoltose e disturbate; cosicché l’apporto dei siciliani esterni a Comiso è stato sempre non programmabile e non decisivo.
E’ chiaro che una lotta che doveva affidarsi soprattutto ai fuori-regione non poteva avere un sostegno solido e quindi era solo occasionale, sia pure per grandi occasioni. Così è stato a Comiso l’(8 agosto, il 24 settembre, ecc.).

7. In queste condizioni le decisioni che si sono prese all’IMAC sanno di nonviolenza solo in prima approssimazione, sia pure una buona approssimazione.
La serra del 5 agosto la situazione era la seguente. Nel Campo IMAC c’erano 1.000 persone, molte di più delle più rosee previsioni (4-500). Un grande successo quindi, tanto più tenendo conto delle centinaia di donne della Ragnatela (Campo delle donne, la maggior parte internazionali), più la gente sparsa che si sarebbe aggregata durante le giornate.
Ma circa 300 autonomi, imprevisti e imprevedibili nelle loro azioni possibili, costituivano una presenza massiccia che creava tensione, perché organizzata militarmente, con dei capi e dei gregari, tutti pronti a battersi fisicamente. Dichiaravano di voler adottare metodi nonviolenti; ma era questa uan tattica per essere liberi poi durante i blocchi di scatenare dei disordini ancor più violenti, utilizzando la massa degli altri campiti? O era una tattica perché da soli non avrebbero potuto affrontare in forze la polizia? Le assemblee non chiarirono i dubbi, tanto meno la convivenza, ricca di forzature (anche di risposta alle loro).
Di certo con loro non si poté parlare di quella che allora appariva a molti una novità molto interessante: i trainings nonviolenti. Unendosi a gruppi molti allora hanno imparato queste rappresentazioni-simulazioni di azioni nonviolente. Per molti Comiso rappresenta la scoperta di questa tecnica che oggettivava la nonviolenza al di fuori dei libri e delle parlate persuasive. La nonviolenza era diventata una tecnica esportabile e utilizzabile senza più i nonviolenti stesssi. In questo i nonviolenti sono apparsi dei maestri, attraverso le tecniche, di nuova politica, molto suggestiva per le sue implicazioni nelle lotte sociali.
La prima grande decisione politica di Comiso è stata che nonviolenza non è una azione soggettiva, individualista, al di fuori di ogni intesa di gruppo. La mossa di un radicale (Navarra) e dt altri IPC e radicali, di anticipare il blocco dell’aeroporto organizzato dall’IMAC (che per il PR era diventato così numeroso da essere ingestibile da parte loro e per di più con la temibile presenza degli autonomi) non ha avuto presa sulla gente; cosicché la lotta non è stata incanalata su obiettivi gestibili da pochi, né si è spaccata in due tronconi da contrapporre davanti alla stampa (come sperava il PR).
Ma d’altra parte la sera del 5 agosto gli autonomi si presentarono alla popolazione di Comiso: dal campo partì un corteo che arrivò (4 km) fino alla pizza principale di Comiso (Fonte Diana); lì comizio e controllo della piazza (non troppo grande), nonostante un drappello di polizia e i tentativi dei degli esponenti dei gruppi politici (PdUP, DP, FGCI) di dissuaderli dall’agire sulla testa della gente.
In definitiva, l’unità del gruppo IMAC ha retto a dure prove.
Però nell’IMAC non si è andati al di là dell’idea del blocco: una vecchia tecnica usata per contrapporsi duramente (se non militarmente) ad un avversario; salvo il fatto che questa volta il blocco doveva essere nonviolento. Di per sè il blocco non ha nulla del dialogo, della dialettica, della creatività che caratterizza le interazioni dei nonviolenti con gli avversari. Comunque il blocco ha comportato una nuova esperienza, per i singoli, inesperti di azioni nonviolente, sia per il gruppo; perché mai in Italia si era compiuta un’azione nonviolenta in così tante persone.
Da una parte i nonviolenti speravano grandi cose dall’essere riusciti per la prima volta a portare 1.500 persone a compiere un’azione diretta nonviolenta; anche se non avevano una idea precisa di che cosa poteva segure da questo aver raggruppato tante persone. Dall’altra, le varie correnti, partitiche e non, che dividevano i partecipanti vedevano il progetto del blocco come un terreno di lotta interna ai gruppi, curiosamente uguale per tutti proprio perché era nuovo, cioè: nonviolento. Infine per ogni partito la posta in gioco era molto appetitosa: con un’azione decisiva nel momento opportuno giungere a condurre la lotta secondo la propria direzione; e così, sotto i riflettori dell’attenzione nazionale, cogliere una significativa vittoria, la gestione del Movimento della pace italiano. Per i partiti i nonviolenti erano dei paraninfi ingenui della vera lotta, quella sulla egemonia.

8. Tutti sconfitti! Il terzo giorno di blocco (il giorno dell’insediamento del governo Craxi) la brutalità della polizia è stata così improvvisa, cieca e disumana che non ha dato a nessuno la possibilità di reagire e di pensare a contromosse. Neanche gli autonomi, che pure non volevano essere teneri (propositi minacciosi verso la polizia e scontro fisico anche dentro il Campo) hanno avuto la minima possibilità di fare niente di più che fuggire e disperdersi.
Tutti sconfitti, sì ma anche la polizia! Che, nonostante la furberia di dichiararsi vittima di aggressioni, ha subIto fotografie-denunce di chiarezza impressionante. Il primo vero contatto vero tra manifestanti e popolazione questo è avvenuto quando la gente di Piazza Fonte Diana ha visto dei giovani picchiati a sangue o vecchi con lividi mostrare le loro ferite e presentare le prime foto stampate in tutta fretta. Quei “nordici”, che fino ad allora erano rimasti incomprensibili nelle loro motivazioni e ideali, ora apparivano in tutta la loro umanità sofferente e attiravano la compassione, la simpatia, la riflessione. La reazione, sofferta ma dignitosa dei manifestanti, ha annullato la manovra del questore di separare definitivamente la popolazione dai “continentali”; nessuno del luogo si è sentito di avallare la versione poliziesca dei fatti, la quale così è caduta nel vuoto.
Ma sono stati sconfitti anche tutti i gruppi interni all’IMAC. Il giorno dopo nessuno ha potuto gloriarsi di aver condotto il Movimento della pace verso l’obiettivo previsto. Nessuno si è gloriato di quella che era di fatto una sconfitta. Il Movimento per la pace italiano è uscito da Comiso libero da cappelli, da ipoteche, da dirigismi e da leaderismi. E’ rimasto un movimento se non un partito o partitello; è rimasto un movimento libero e pluralista e non un movimento, senza essersi trasformato in in un partito o partitello; è rimasto un movimento libero e pluralista, e non un movimento in senso prestabilito.
Ed è rimasto sconfitto anche l‘IPC che per due anni aveva rinfacciato al CUDIP di non sostenere azioni dirette nonviolente. Il blocco della base, finito subendo l’aggressione della polizia, era chiaramente un’azione diretta nonviolenta, che per di più aveva radunato per la prima volta in Italia 1500 persone; mentre l’IPC aveva scelto di agire individualisticamente; cioè, di separarsi da questa forte esperienza collettiva.

9. Sconfitti! Sì, ma militarmente; cioè, su quel terreno di scontro che è proprio dei violenti. Ma per dei nonviolenti non è detto che una sconfitta militare sia una vera sconfitta; essi infatti possono vincere anche da sconfitti.
In definitiva, i nonviolenti, dl certo ingenuamente, si erano proposta solo una azione diretta nonviolenta in massa, indipendentemente dal risultato possibile. Questo obiettivo è stato raggiunto, e certamente è stato raggiunto molto meglio avendo ricevuto l’aggressione che se essa non ci fosse stata. La loro sprovvedutezza di fatto è risultata adeguata agli avvenimenti: nelle condizioni del blocco, all’assalto della polizia non si poteva fare niente.
Ma che di sprovvedutezza si trattasse lo indica un fatto molto importante, che fa parte integrante della lotta di Comiso: la infiltrazione. E’ giusta tecnica “soft” della polizia di infiltrare personaggi nei vari movimenti che danno fastidio; in modo da destabilizzarli e disinnescarli, senza che i movimenti se ne accorgano. Nella storia italiana non c’è movimento o gruppo che non abbia subito infiltrazioni, dagli anarchici alle BR. E quanto poco ci voleva per infiltrarsi nei Movimento per la pace! Questo raccoglie gente sconosciuta, ricicla personaggi dall’oscuro passato, crede subito ai pentimenti e alla buona fede di chiunque! Teniamo presente in più che Comiso era il terreno di scontro sotterraneo di Sismi, CIA, KGB e mafia; e che nessuno di essi voleva venire allo scoperto, ma agire sempre tramite coperture... Pio La Torre è morto forse proprio perché era la persona, che con la sua continuità di lotta politica e conoscenza del terreno e dei personaggi in gioco, non avrebbe concesso spazio a simili manovre, Mentre il Movimento per la pece tedesco prese severe contro-misure verso le infiltrazioni e le provocazioni; quello italiano, niente. E di fatto siamo stati come un colabrodo, forato quanto e come gli altri hanno voluto.
In definitiva, i nonviolenti sono stati presenti con idee e proposte e, per quanto detto prima, possono essere considerati i soli vincitori di quella che situazione che è stata una sconfitta militare per tutti. Ma stiamo parlando di un attore politico che collettivamente è stato quasi inesistente, perché non ma sono riusciti a metterle in atto per primi o da soli le loro stesse proposte. O anche, si può dire che i nonviolenti hanno vinto sì, ma senza saperlo volere e prevedere; cioè, al solito, indirettamente.

10. La lotta condotta a Comiso è stata una sconfitta anche nell’ambito nazionale: la polizia ha picchiato e disperso le manifestazioni, i missili sono stati messi, Ma la polizia ha perso moralmente, e con lei il governo Craxi. Di fatti il Movimento ne usciva libero da condizionamenti politici pesanti; inoltre aveva rivelato e smascherato la vera natura militaresca del”nuovo” governo “socialista”, che come primo atto aveva dato l’ordine di manganellare la gente che manifestava per la pace a Comiso: era il segno preciso di quella che nei mesi seguenti diventerà una amara verità per il milione di autoconvocati rimasti senza risposta politica, oltre che per i cittadini italiani generici. Moralmente ha vinto il Movimento per la pace, che a Comiso ha dato dimostrazione sicura di volere la nonviolenza; e, infatti come nonviolento è stato patentato dalla opinione pubblica nazionale. A Comiso la nonviolenza si è guadagnata la cittadinanza politica e la simpatia generale.
Nel quadro nazionale ciò appare del tutto coerente. La nonviolenza in Italia non è monopolio dei nonviolenti e anzi questi neanche ne sono la maggioranza. Sono le popolazioni che spontaneamente ricercano la nonviolenza secondo la loro mentalità e la loro logica, nelle occasioni cruciali nelle quali affrontano problemi molto seri. Le lotte popolari contro i poligoni di tiro, o contro le centrali e i siti nucleari sono state tutte lotte vicine alla nonviolenza (certamente sono state estranee alla logica della violenza fisica e anche politica). A questi movimenti nonviolenti si può imputare che non hanno una chiara strategia e che non hanno una lucida coscienza delle situazioni che vengono affrontate. Vero. Ma lo stesso si potrebbe imputare ai nonviolenti dichiarati, quando cercano di riunirsi in gruppi che agiscono collettivamente. E ancor più quando ci si riferisca ai pacifisti generici.
Allora Comiso è stato un episodio molto importante, ma poco diverso dai tanti che hanno scosso le popolazioni italiane nell’ultimo decennio. Morale: affinché si possa diventare soggetti collettivi coscienti di lotte decisive nonviolente, non occorre tanto chiarire che cosa è la nonviolenza come idea, o come sperimentazione-simulazione (trainings), quanto piuttosto riuscire a fare popolo. Se il popolo c’è, allora la nonviolenza scaturisce abbastanza facilmente.
O anche, si può suggerire che si tratta di riunire i due tronconi che si sono costruiti in questi decenni: una prassi di quasi-nonviolenza e una teoria di nonviolenza, anche se inquinata o complicata da intellettualismi. E’ qui che abbiamo cumulato una serie preoccupante di deficienze: il Servizio civile degli obiettori, che pure è cresciuto a migliaia di obiettori, potenziali militanti; la lotta di Montalto di castro, la cui coscienza nonviolenta è stata spenta proprio quando stava per per presentarsi nazionalmente; la lotta di Novazza (contro la miniera di uranio) che è stata condotta in maniera molto precisa ma che non è riuscita a uscire granché al di là della valle. Adesso abbiamo accumulato l’esperienza di un’altra lotta, quella Comiso, questa volta aperta a tanti altri, che ancora una volta non è riuscita a far diventare politica la nonviolenza, se non indirettamente.

11. Senza piangerci su, credo che ci siano dei problemi su cui fare attenzione per sbloccare la nostra condizione insoddisfacente. Prima di tutto, insisto a dire che noi non abbiamo una reale possibilità di esprimerci attraverso una nostra stampa. Azione Nonviolenta è troppo composita (notizie e riflessioni), troppo accentrata (Mov. Nonv.; o meglio, alcuni suoi leaders), troppo distaccata dalle situazioni italiane reali. Purtroppo il MIR è anche peggio; il suo giornale non è uscito per più di un anno! E comunque deve ancora trovare una sua formula editoriale. Delle felici novità sono Qualevita e “Per dire tra la gente…”.
Altro problema rispetto ad una DPN italiana è la mancanza di un programma di studio e lavoro coscientemente programmato e attuato da un gruppo di persone. Il MIR di Padova è stato un abbozzo di questo tipo di gruppo; ma occorre giungere al livello non tanto di informazione e promozione, ma di studio anche specialistico e presenza reale e tempestiva.
Altro problema è la mancanza di collegamenti con altri gruppi o istituzioni che non siano quelli esplicitamente nonviolenti. Penso ad es. alla Fondazione Zancan e alle problematiche della Protezione Civile, che si legano così bene con quelle della DPN. Oppure al rafforzamento del CESC Comitato Enti di Servizio Civile) affinché la problematica della obiezione dik coscienza e del SC diventi il terreno di cultura assicurante la crescita della DPN in Italia.
Altro problema ancora è promuovere il progetto di legge per la DPN. Esso costituisce un’iniziativa che dà cittadinanza alla idea della DPN a tutti i livelli del dibattito politico, facendo schierare le forze politiche su posizioni precise. Infine il sindacato; che, sia pure in crisi totale, non può essere abbandonato, lasciando che ad es. i lavoratori continuino a lavorare per l’industria bellica o a manifestare per la pace senza idee.
Ma soprattutto ci manca quella che è la base di una lotta nonviolenta verace: la base popolare di comunità, cooperative, associazioni professionali. In Italia esistono alcune comunità; ma sono poche e deboli, senza capacità ad es. di sacrificare qualche membro della comunità a stare sei mesi o anche un anno su un posto di lotta, magari a fondare una comunità di lotta sul luogo. Oggi questo dovrebbe essere il nostro primo e grande obiettivo politico, Se lo realizzeremo, vita e lotta si uniranno; come pure l’essere, il manifestare e l’educare.

12. Forse alle nostre spalle ci sono pochi meriti e molti errori. Ma è dagli errori che si impara. E ora noi siamo qui proprio per questo; non per autoglorificarci, ma per sottolineare che così come abbiamo fatto nel passato non dobbiamo più continuare a fare, perché sicuramente c’è da migliorarci. E io sono convinto che noi abbiamo la volontà di migliorarci.
La nostra meta è quella che già avevamo visto da tanti anni (DPN). Ora dobbiamo fare crescere i mezzi e la coscienza, fino a farci maturare in un popolo cosciente e preparato.
E’ uno sforzo che siamo chiamati a fare; ma è lo sforzo del crescere, la tensione a vivere, a raggiungere una vita piena. In modo che anche nei momenti più tragici della vita, quando verrà minacciata la nostra sopravvivenza collettiva, saremo in grado di crescere a nuova vita.

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